piano b. Arti e culture visive. V.2, N.2 (2017)
ISSN 2531-9876

Immagini al limite

Elio GrazioliUniversità di Bergamo (Italia)

Bianca TrevisanUniversità di Bergamo (Italia)

Andrea ZucchinaliUniversità di Bergamo (Italia)

Pubblicato: 2017-12-30

Abbiamo lanciato un invito a intervenire su un argomento, quello del limite, che è sempre stato una sfida per l’uomo e per l’arte a tutti i livelli e probabilmente in ogni epoca: l’Ulisse di Dante, il viaggio, la scoperta, l’ignoto, la provocazione, il superamento, l’avanguardia, l’oltreumano. Evidentemente vi si gioca una doppia concezione: fin dove si può arrivare e al tempo stesso che cosa c’è più in là. Il punto d’arrivo e, insieme, ciò che gli è ulteriore. I bordi contengono e separano dal fuori, ma sono anche il luogo in cui i due, interno ed esterno, si toccano e comunicano; sono punti delicati, anche nel senso di sensibili; spesso considerati periferia e marginalità, sono anche la posta in gioco di ogni rapporto, di ogni dialettica.

Oggi la questione si propone di nuovo, perché da un lato tutto è stato portato al limite in ogni suo uso e carattere, ma anche perché, dall’altro lato, confrontarsi di nuovo con il limite ha assunto forse un altro senso, non più il pensiero dell’illimitato, dell’infinito, dell’invisibile, bensì quello del rimettere alla prova, del decostruire, dell’andare più lontano, del buttare l’occhio dall’altra parte…

Ci interessano i limiti in tutti i sensi e in tutti gli ambiti, ci interessa passare ogni tema, tecnica, pensiero al vaglio del limite. L’immagine tuttavia finisce con il ritrovarsi anche in questo caso al centro della questione, allo snodo dei termini oppositivi più emblematici: visibile/invisibile, materiale/immateriale, dentro/fuori, essere/apparire…

E ancora: immagini al limite sono molte di quelle extra-artistiche, quelle della scienza, quelle dell’astronomia, quelle della microfisica, quelle della neurologia; immagini al limite sono quelle di luoghi inaccessibili, quelle che vedono solo le macchine, quelle virtuali, quelle di culture altre, quelle mai ferme, quelle fragili, quelle inafferrabili, quelle che spariscono; immagini al limite sono quelle di molti modi di essere nuovi e di nuovi comportamenti, quelle di problemi irrisolvibili, quelle delle antinomie di ogni genere, quelle di nuove problematiche etiche e politiche, quelle delle situazioni limite.

E l’arte? Ha anche qui un ruolo a parte? È il luogo dove è permesso qualcosa che negli altri ambiti del comportamento umano è considerato al di là del limite? È ancora, come nelle avanguardie, l’esperienza o la forzatura del limite? Oppure è un ambito particolare del “gioco”, che si dà proprie regole e stabilisce i limiti entro cui muoversi con cautela e cura? L’astrazione, il mimetismo, l’immateriale, l’informe, il virtuale, l’immagine stessa, o alcune immagini, l’opera, alcune opere… nel cinema, nel teatro, in letteratura, in musica… alla prova dei limiti.

Ma infine: l’arte non deve oggi ridimostrare di avere un ruolo particolare, speciale o singolare, nel contesto della produzione di immagini? Tra i testi selezionati si disegna un primo quadro ricco e complesso. Quello che si può dire per l’insieme è che davvero le problematiche dell’arte non sono più le stesse del passato, anche recente: si respira un’aria di riflessione che parte dal cambiamento dei tempi, dalla consapevolezza della necessità di fare altri conti e il senso di responsabilità di correre il rischio al di là di un contesto, quello artistico e quello accademico, da noi ancora timido, imbarazzato, conservatore. Si va dallo studio di casi paradigmatici in ambiti vari, mettendo a fuoco una sorta di quadro problematico e di dialettiche di partenza. Così Cristina Casero individua nella serie Area di coincidenza di Adriano Altamira una ricerca sui limiti che potremmo dire “iconografici” della ricerca artistica, dove al di là dell’influenza e della copia, la “coincidenza” di immagini simili in artisti diversi apre sulle cosanti visive e culturali di un periodo o un ambito, ma anche sull’incontro, sulla resilienza di esiti non ricercati, su scoperte ulteriori. Pier Alberto Porceddu Cilione vede dal canto suo nella pittura di Gerhard Richter una “microfisica” secondo la quale, portando al limite la visione e la pittura stessa, «le opere di Gerhard Richter funzionano come dei dispositivi che attivano la riflessione sul funzionamento dello sguardo e sui modi in cui l’essere si dà nel dominio del “visibile”». Daniele Balit si esercita su un caso meno noto, quello delle “camere di ascolto” di Tania Mouraud, ma che offre anche l’opportunità per passare a un altro classico dell’arte degli ultimi decenni, inafferrabile, che travalica la divisione dei media tradizionali, i confini categoriali e istituzionali, nonché quelli geografici-culturali. La definizione dei suoi environment come “ecologia della sensazione” non è poi un’altra interrogazione, anche se meno diretta, di altri limiti?

Altri testi considerano argomenti di studio che sono pretesto per slanci teorici più marcati, così lo Strindberg di Elena De Silvestri, che analizza le sue Celestrografie per formulare una riflessione sulla dialettica del desiderio: «Sul crinale dell’immaginario fascinazione e passività s’incontrano, poiché esso condivide la sua liminarità con un desiderio che non ha più nulla dell’ideale, un “desiderio-limite”, a un tempo legame e cesura. Ciò che appariva come un ostacolo inaggirabile, una impossibilità, ora si fa promessa». La scelta di Strindberg non è casuale, «caso limite poiché, nel suo approccio quasi allucinatorio al visibile, ci riporta all’interferenza delle due dimensioni, scambiando un’immagine confusa, dettata unicamente dalla sua inesperienza tecnica, per una realtà a tutti gli effetti. Eppure è proprio la radicalità del suo fraintendimento a esibirci uno snodo fondamentale, di cui ogni esperienza desiderante partecipa: l’“errore” delle Celestografie non differisce da quello che anticipa e sostiene il desiderio amoroso in quanto tale, pur nella varietà delle sue espressioni, dei suoi investimenti e dei suoi “fantasmi”». Nicola Turrini, da parte sua, propone una Piccola archeologia della fotogenia, perché «la fotogenia – e, insieme, l’immagine – rivelerebbero un aspetto geniale del mondo, delle cose e del soggetto, in cui vengono scardinati alcuni dei limiti tra il soggetto, l’oggetto e il dispositivo».

Infine alcuni testi affrontano temi che aprono su nuove frontiere dell’immagine e dell’arte. Francesco Toniolo si occupa di monster girls nei manga e anime giapponesi, «versioni antropomorfizzate e sessualizzate di mostri mitologici, animali e altre creature del folklore orientale e occidentale», che evidenziano e rilanciano «i limiti fra erotico e pornografico (o ecchi e hentai), fra umano e non umano, fra uomo e donna, fra esterno e interno», paradigma della rielaborazione contemporanea di temi e figure antichissime, se non primordiali. Luca Malavasi azzarda una lettura estetica dei big data, «oltre i limiti noti delle forme di interazione tra umano e non umano, […] perché i “non contenuti” dei big data e l’elaborazione algoritmica non si limitano a monitorare la realtà e gli individui, ma li rispecchiano, dopo averne ricodificato e analizzato l’attività, la sensibilità, le scelte, le dinamiche relazionali e sentimentali, finendo quindi per determinarli e anzi prevederli». Ambrogia Cereda, per chiudere, affronta un fenomeno recentissimo: i silver models, modelli della terza età che diversi stilisti fanno sfilare con i loro abiti. Anche la moda va, rompendo il tabù dell’età, oltre i canoni della temporalità e della corporeità, questi ultimi a loro volta ai limiti tra estetica e antropologia.