@article{Damiani_2016, title={«Giocare con le cose morte». Reborn dolls, arte ed empatia}, volume={1}, url={https://pianob.unibo.it/article/view/6635}, DOI={10.6092/issn.2531-9876/6635}, abstractNote={Il saggio intende esplorare il Reborning, un fenomeno molto diffuso negli USA e in Gran Bretagna, seppur confinato all’interno di una subcultura che vede protagoniste le cosiddette Reborners, donne che lavorano artigianalmente una bambola giocattolo, smontandola, ridipingendola e aggiungendo elementi (volto e membra appositamente modellati da scultori, capelli, macchie della cute, battito cardiaco,...) utili a raggiungere una verosimiglianza il più realistica possibile con un bébé in carne e ossa. Le Reborners operano attraverso il web, gestendo siti personali dove propongono ai possibili acquirenti (per lo più donne) le loro creazioni, descrivendole con un linguaggio ambiguo che le indica a un tempo come opere d’arte da collezionare e neonati da accudire. Si presentano sia come artiste sia come persone capaci di generare, attraverso i loro lavori, l’istinto materno, e sfruttano un discorso volutamente ibrido, dove l’artificiale si fonde con il reale senza però mai sovrapporsi completamente ad esso. Le fotografie e le installazioni di Desirée Holman, Jamie Diamond e Rachel Lee Hovnanian hanno variamente riflettuto sulle Reborn dolls, soprattutto in relazione ai codici identitari del femminile; il presente articolo intende invece soffermarsi sull’immaginario frankensteiniano che queste bambole sembrano alimentare già a partire dal nome stesso: in una forma del tutto inedita di rielaborazione del lutto, alcune persone commissionano infatti la ri-nascita dei loro neonati defunti, provocando curiosità e repulsione, stupore e biasimo per questi inquietanti oggetti di memoria.}, number={2}, journal={piano b. Arti e culture visive}, author={Damiani, Sara}, year={2016}, month={gen.}, pages={30–53} }