L’iconografia mussoliniana. Un percorso tra rimozioni e riscoperte nelle mostre italiane dal secondo dopoguerra ad oggi

Autori

  • Susanna Arangio Università di Ferrara

DOI:

https://doi.org/10.6092/issn.2531-9876/8983

Parole chiave:

fascismo, propaganda, arte, mostre, critica

Abstract

Le scelte culturali e politiche della critica d’arte del dopoguerra furono esplicitate fin dal 1944, con la mostra Esposizione d’arte contemporanea 1944-45 curata da Palma Bucarelli alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, dove il futurismo, la metafisica, il ritorno all’ordine e l’astrattismo furono messi da parte a vantaggio di quei movimenti o artisti ritenuti lontani dalla retorica del regime, o prematuramente antifascisti. Un punto di svolta è stata la mostra Arte moderna in Italia 1915-1935, organizzata da Ragghianti nel 1967 con il pionieristico intento di portare all’attenzione e provvedere, per quanto possibile, allo stato di incuria e abbandono in cui vertevano le opere relative al periodo indicato. Tale mostra ebbe il merito di sdoganare la censura (o autocensura) relativa all’esposizione di una più vasta gamma di opere d’arte del Ventennio, tuttavia il taglio scelto fu più che altro compilativo, e l’effettivo legame tra le opere e il contesto sociale e politico in cui nacquero è volutamente omesso. Negli anni Settanta vengono pubblicati diversi studi che si occuparono in maniera maggiormente approfondita dei legami tra arte e fascismo, e se in alcuni casi si offrono importanti spunti di riflessione, in altri non ci si distacca invece dal pregiudizio relativo alla scarsa qualità delle opere cosiddette “di propaganda”. Un importante momento di rivalutazione dell’arte tra le due guerre si ebbe con la grande mostra sulla Metafisica allestita a Bologna nel 1980 e con il relativo catalogo, in due volumi. L’iniziativa bolognese si distinse in particolar modo per una maggior apertura all’interdisciplinarietà e proseguirà sulla stessa linea la grande mostra sugli Anni Trenta allestita a Milano. Gli anni Ottanta hanno costituito un momento importante per la stagione critica relativa all’arte tra le due guerre, anche se la tendenza a marginalizzare la cultura figurativa connessa al regime permarrà a lungo, così come una certa reticenza allo studio dell’iconografia mussoliniana. Indicativa in questo senso la provocatoria mostra proposta a Seravezza nel 1997, dal titolo "L’uomo della provvidenza". Iconografia del Duce (1923-1945), che aprì per la prima volta le porte ad un’esposizione di opere esplicitamente riferite all’immagine di Mussolini. Tale mostra si collocava in un contesto più generale di interessi e riflessioni storiche relative al tema del confronto tra i modi di utilizzare l’arte nell’ambito delle dittature fascista, nazista e sovietica, e più in generale ad un rinnovamento in ambito storiografico che ha portato all’uscita di diversi e variegati studi sul fascismo. In ambito storico-artistico ci si muove più lentamente in questo senso e, se è vero che negli ultimi vent’anni sono diventate sempre più frequenti le pubblicazioni e le mostre volte a rivalutare personaggi e momenti del regime, è anche vero che negli studi di settore, in particolare quelli italiani, permane una certa reticenza nell’occuparsi di opere funzionali alla propaganda, le quali spesso passano attraverso la neutralizzazione di ogni connotazione ideologica veicolata dall’immagine, per essere inserite in una sorta di rassicurante certezza offerta da una dimensione estetica.

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Pubblicato

2019-01-30

Come citare

Arangio, S. (2018). L’iconografia mussoliniana. Un percorso tra rimozioni e riscoperte nelle mostre italiane dal secondo dopoguerra ad oggi. Piano B. Arti E Culture Visive, 3(1), 52–85. https://doi.org/10.6092/issn.2531-9876/8983