Bighelloni italiani. La deriva urbana nelle pratiche artistiche degli anni Novanta
DOI:
https://doi.org/10.6092/issn.2531-9876/15578Parole chiave:
Arte italiana contemporanea, Anni Novanta, Deriva, Terrain vagues, Post-industrializzazioneAbstract
In Peripezie del dopoguerra nell’arte italiana, Adachiara Zevi parla della duplice natura degli anni novanta in Italia, sospesa tra la smaterializzazione mediatica del corpo dell’artista e la sua presenza fisica in uno spazio specifico. Una dicotomia che trova sintesi nei lavori di alcuni artisti italiani che cominciano ad affermarsi proprio a partire da questo decennio. Ispirati più o meno direttamente alle esperienze situazioniste, alle pratiche di Fluxus e all’“anarchitettura” di Gordon Matta-Clark, essi da una parte si concentrano sugli spazi marginali della società globalizzata, modificati dal contemporaneo processo di post-industrializzazione, dall’altra mostrano un interesse più generale nell’attraversamento di territori urbani in ragione di una loro riappropriazione. In entrambi i casi, oltre alla presenza fisica dell’artista, riveste una funzione fondamentale la documentazione video e fotografica, che a volte acquisisce il ruolo di opera a sé stante. Il presente saggio intende descrivere i presupposti storici e teorici di questa tendenza e osservarne le diverse espressioni artistiche sviluppatesi tra gli anni novanta e i primi duemila: le visite guidate da Cesare Pietroiusti in zone periferiche, Luca Vitone e la documentazione di un proprio percorso abituale, l’esplorazione dei “territori attuali” da parte di Stalker, Cesare Viel e le sue incursioni nel porto di Genova, le indagini urbanistiche del Gruppo A12, i collage fotografici di periferie di Botto&Bruno.
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