La tavola degli egualitari: note sull’architettura di Sophie Delhay
DOI:
https://doi.org/10.6092/issn.2531-9876/19624Parole chiave:
Architettura, Collettività, Femminismi, Habitat, Sophie DelhayAbstract
Nel passaggio tra il XX e il XXI secolo, la famiglia dalle relazioni stabili e eteronormate, e fondata sul lavoro casalingo della donna, ha perso lo statuto di modello per la definizione di strategie e configurazioni delle stanze di vita domestica, nella società capitalistica occidentale, europea e statunitense.
Alcune/i architette/i hanno reagito ai cambiamenti sociali della vita domestica, con il porgetto di nuovi sistemi di relazioni tra stanze sino a sconfinare in dispositivi variabili di unità liberamente combinabili, in cui le persone divengono protagoniste di incontri, partecipazioni, appropriazioni e di nuovi accordi, o “protocolli”, in grado di articolare relazioni radicali tra individui e collettività, e arrivare a un nuovo genere di Habitat. La ricerca di quell’Habitat, che contraddistingue gli studi e le realizzazioni più sperimentaliste del XXI secolo, era diventata un traguardo dell’architettura detta “radicale”, nel corso degli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, quando erano in atto le prime decisive rivoluzioni sociali che tuttavia, per le condizioni del mercato e della società, erano allora destinate a tradursi in un consapevole atto di rifiuto a costruire secondo i dettami della professione.
Accanto alle esperienze radicali, nel ripensamento dello spazio domestico verso la forma dell’Habitat, gli scritti di autrici femministe quali Melusina Fay Peirce, Maria Mies, Silvia Federici, e saggi quali The Grand Domestic Revolution di Dolores Hayden, hanno giocato un ruolo cruciale per la definizione di una teoria dell’architettura nella quale venga considerato il ruolo dell’emancipazione femminile nella concezione dello spazio contemporaneo.
Delimitare Non Limitare intende interrogarsi sulle trasformazioni di uno spazio domestico fattosi Habitat, nel passaggio tra XX e XXI secolo, dalle esperienze radicali alla realizzazioni contempornaee, privilegiando l’analisi delle condizioni che hanno portato alla nascita di una coscienza femminile diversa e alternativa, diventata antagonista nel corso del XX secolo e fattasi protagonista dell’invenzione di un nuovo genere di Habitat nel XXI secolo. A testimoniare in modo decisivo i passaggi storici tra le rivolte delineatesi al tempo dell’Architettura Radicale e la fase concreta di sperimentazione e verifica del nuovo ruolo della donna nella società, nella famiglia e nella professione, è la figura di Sophie Delhay, architetta responsabile di uno studio professionale con sede a Parigi.
La pulsione teorica che anima i progetti e le realizzazioni di Delhay discende dalle sue considerazioni sui modi di vita della società contemporanea, che l’hanno condotta a progettare complessi residenziali in forma di sistemi dalle “géométries organiques”, evolutivi e “imprevedibili” come “machines naturelles et vivantes”. Attraverso documenti d’archivio e interviste, nel saggio verranno analizzati i progetti per abitazioni di Sophie Delhay inquadrandoli in una rete di riferimenti che vanno dall’Architettura Radicale - comprese le sue derivazioni femministe -, ai progetti di Riken Yamamoto e Anne Tyng, alle poesie di René Char, all’opera di Sophie Calle.
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