Continuità / discontinuità nella storia dell’arte e della cultura italiane del Novecento. Arti visive, società e politica tra fascismo e neoavanguardie (2018-1)

2017-10-17
a cura di Michele Dantini

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Emerge, da parte della storiografia artistica più recente, nazionale e internazionale, dedicata all’arte italiana del Novecento, la domanda di modelli interpretativi nuovi e di più dettagliati approfondimenti storico-culturali, ad oggi mancanti. In particolare è evidente, da parte di studiosi di lingua non italiana, la difficoltà a accedere a fonti non tradotte e a misurarsi con una più ampia pluralità di testi e voci, primarie e secondarie; giungendo così a un’articolata ricostruzione di contesti.

In assenza di un rinnovamento degli studi storico-artistici, intesi questi ultimi anche nel senso di una più ampia e aggiornata storia culturale, si rischia – è in larga parte il caso della rivista “October” e degli storici e critici che fanno capo ad essa – di avanzare interpretazioni arbitrarie o di radicare l’intera ricostruzione del Novecento italiano, dal periodo entre-deux-guerres alle neoavanguardie almeno, a un’antitesi “fascismo/antifascismo” che, pur importante, non sembra storiograficamente risolutiva per un ampio numero di artisti, critici etc.; ed è divenuta da decenni oggetto di discussione da parte di storici politici, scienziati sociali e giuristi delle più diverse tendenze. Soprattutto si è incapaci di cogliere determinate continuità esistenti, nella storia dell’arte, tra la prima e la seconda metà del Novecento; e di misurarsi così con una domanda che la comunità degli storici si è invece posta da tempo. E cioè: quali sono, se esistono, le continuità sociali e culturali, in Italia, nel passaggio tra fascismo e Repubblica; in un momento dunque di profonde discontinuità politico-istituzionali? E come si collegano tra loro, oppure si disgiungono, la prima metà del primo e del secondo Novecento; gli anni Trenta, poniamo, e gli anni Cinquanta o Sessanta? Quali le «rimozioni» della storiografia postbellica o successiva con cui una nuova generazione di studiosi è oggi chiamata a confrontarsi?

Si è scritto che «l’idea del fascismo come parentesi, di una cesura netta tra periodo fascista e Italia repubblicana è errata. O meglio, corrisponde più a un bisogno dei contemporanei di stabilire una distanza tra il fascismo e se stessi, che alla realtà dei fatti» (Sabino Cassese, Lo stato fascista, 2010). In che modo, e con quali esiti, lo studio di determinati documenti figurativi, o la storia della critica d’arte o (ancora) delle istituzioni e delle politiche culturali e del patrimonio può contribuire a un dibattito che si è fatto via via più ampio a partire dagli anni Sessanta, finendo per coinvolgere le discipline più diverse?

Si tratta oggi, o così almeno sembra, di muovere oltre la fedeltà ad autodichiarazioni, memorialistica e testimonianze (“egodocumenti”) per avvicinare le opere in modo più avvertito e critico, riconoscendo che possono esistere, e sono ampiamente documentate, amnesie, autostilizzazioni retrospettive, distorsioni; e che gli “egodocumenti” con cui si ha a che fare, anche alla luce di drammatici mutamenti politici e sociali e delle più urgenti esigenze di riposizionamento individuale, possono essere reticenti. Si è spesso osservato che la storia culturale italiana del Novecento, segnata da profonde cesure politiche, economiche, ideologiche e militari, ha caratteri come di palinsesto: ogni generazione la riscrive mutando “paradigmi” e dizionari. Questo rende più difficile, ma forse anche più affascinante, l’esercizio di ricomposizione e scavo. È tuttavia evidente che punti di vista riduttivamente monodisciplinari, considerazioni limitate a una semplice storia dello “stile” e pratiche storiografiche avulse non riusciranno mai a scendere al di sotto della superficie degli eventi o delle circostanze considerate.

Per ragioni storico-sociali, ideologico-politiche e culturali insieme, il gioco tra «resistenza» e «assimilazione», «identità» e internazionalismo è drammatizzato nella storia culturale italiana come mai altrove, tra le due guerre e ancora nel secondo dopoguerra. Ecco che si tratta di interrogarsi in profondità, con strumenti quanto più possibile fini e insieme molteplici e con prospettive anche di lungo periodo, sui temi del «consenso», della «nazione», dell’«identità», dell’«eredità», del «popolo», dell’«impegno» etc. lasciando se possibile da parte posizioni precostituite e cercando invece di ricostruire l’evolvere di inquietudini, miti, “autorappresentazioni nazionali” nel loro rapporto a contesti continentali o planetari di volta in volta diversi – l’Europa del primo Dopoguerra, ad esempio, disegnata dalla Società delle nazioni; il «nuovo ordine» negli anni Trenta e primi Quaranta; il contesto atlantico del secondo Dopoguerra; la Guerra Fredda; gli anni della contestazione.

I docenti, i critici e gli studiosi interessati potranno sottoporre alla valutazione del Comitato editoriale le proprie proposte, inviandole come allegato al seguente indirizzo di posta elettronica:
redazione.pianob@unibo.it
Per proporre un contributo si dovranno inoltre rispettare le indicazioni di seguito esposte.

Come proporre un contributo

Entro il 27 novembre 2017 si dovrà inviare all’indirizzo redazione.pianob@unibo.it un file .doc comprensivo di un breve abstract (massimo 1500 battute, spazi inclusi), non più di cinque parole-chiave e una sintetica biografia del proponente, la cui valutazione sarà affidata ai curatori del numero. L’abstract, la biografia e le parole-chiave dovranno obbligatoriamente essere presentate, oltre che nella lingua originale del testo, anche in inglese. Una volta ricevuta conferma di accettazione dell’abstract da parte della redazione, si potrà procedere con la stesura e l’invio di un contributo monografico/saggistico, il quale non dovrà superare le 15/20 cartelle (30.000/40.000 battute, note e spazi inclusi). La stesura del testo, che potrà esser redatto in italiano, inglese o francese, dovrà essere uniformata alle norme redazionali della rivista. Tutti i contributi dovranno pervenire allo stesso indirizzo di posta elettronica sopra indicato entro il 15 marzo 2018, avendo cura di specificare nel corpo della email di accompagnamento titolo del contributo e nome e cognome del proponente. Ogni contributo che arriverà in redazione sarà sottoposto a procedura di double blind peer review, venendo inviato anonimamente a due referee. Se i giudizi dei due referee saranno in contrasto, i direttori decideranno (in dialogo con il curatore o i curatori) se assumersi la decisione di pubblicabilità o di invio a un terzo referee. La redazione contatterà gli autori per comunicare loro l’esito della valutazione. L’uscita del numero di «piano b» è prevista per l’estate 2018.

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